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lunedì 16 febbraio 2009

[Recensione] Operazione Valkiria




Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg è un colonnello della Wehrmacht che sta combattendo nel Nord Africa ma ha già maturato una profonda ribellione contro i metodi hitleriani. Un attacco aereo lo priva di un occhio, del braccio destro e di due dita del sinistro. Rientrato in Germania si unisce a un gruppo di militari di grado elevato che intendono ridurre Hitler all'impotenza. Il piano prende progressivamente forma: si dovrà attentare alla vita del Fuhrer e immediatamente dopo, attuando un piano già istituzionalizzato, accusare le SS dell'omicidio, neutralizzarle e assumere il comando di una nuova Germania. Il 20 luglio 1944 Von Stauffemberg in persona porta l'ordigno esplosivo nella Tana del Lupo ed è testimone dell'esplosione. Quello che non sa è che Hitler si è salvato.
Ci sono attori (parliamo di bravi attori) che non dovrebbero mai caricarsi del ruolo di personaggi storici. È il caso di Tom Cruise. Il quale è, senza ombra di dubbio, un bravo attore quando è ben diretto. Lo fu nella inutilmente criticata interpretazione del Bill 'uomo senza qualità' di Eyes Wide Shut e lo ha dimostrato in maniera inequivocabile (a meno che non si volessero chiudere occhi e orecchie) sotto la guida di quel genio dell'esasperazione che è Paul Thomas Anderson in Magnolia. Ma ha bisogno di protagonisti nati dalla creatività di uno sceneggiatore. Quando ‘vuole diventare', come in questo caso, un personaggio ormai oggetto di studi (il caso è diverso rispetto a quello dell' ‘eroe' di Nato il 4 luglio) finisce con il ridursi nel “Tom Cruise che interpreta…” pesando così tanto sul ruolo da rischiare di annullarlo.
Le critiche più o meno preventive dei tedeschi non sono determinanti. Danno semmai l'impressione di chi è dispiaciuto per non averci pensato per primo. È la struttura generale che, così come occulta Stauffenberg sotto Cruise, rende evanescente la regia, in altre occasioni autoriale, di Bryan Singer. Siamo cioè di fronte a un'accurata descrizione dei fatti che fa seguire a un prologo d'azione una decisamente lunga sequela di colloqui per poi andare a stringere, nella seconda ora, nella narrazione del progressivo strutturarsi e poi dissolversi di un tentativo di colpo di stato di cui già conosciamo l'esito.
Finiscono così per restare nella memoria poche sequenze di cui due meritano la sottolineatura. La prima, tipicamente hollywoodiana, in cui la famiglia del colonnello è costretta a interrompere un momento gioioso per cercare riparo in un rifugio mentre, simbolicamente, sul piatto del grammofono gira la Cavalcata delle Walkirie di Wagner. La seconda, molto più cinematografica nel senso migliore del termine, è quella in cui viene battuta la (falsa) notizia della morte del Fuhrer e una delle addette scoppia a piangere. Segno tangibile del potere di fascinazione di qualsiasi dittatura.


Voto ****/5

domenica 25 gennaio 2009

[Recensione] Sette anime




Ben Thomas è un giovane uomo che ha commesso un tragico errore. Ossessionato dalla sua colpa è deciso a redimersi risanando la vita di sette persone meritevoli. Osservate e individuate le sette anime, Ben si prende amorevolmente cura di loro, donandogli una parte di sé e una seconda possibilità. Sarà però la bella Emily Posa, colpita al cuore da Ben e da (gravi) scompensi cardiaci, a innamorarlo e a distrarlo dal suo disegno originale. A Ben non resterà che decidere se tornare a vivere o lasciare vivere.
Il titolo italiano, al solito, non "traduce" il senso del secondo film americano di Gabriele Muccino, sostituendo sette pounds (sette libbre) con sette anime e spostando in questo modo l'attenzione dello spettatore dal debitore ai creditori. Di carne, o meglio di libbre di carne, parla invece il titolo originale e aderente alla storia raccontata, riferendosi al pound of flesh (una libbra di carne umana) che "il mercante di Venezia" shakespeariano chiedeva ad Antonio per estinguere il suo debito. Dopo aver affrontato con La ricerca della felicità il dramma a sfondo sociale e a lieto fine, Gabriele Muccino gira un film sulla "donazione" che ha fatto molto discutere in America e altrettanto farà discutere nella cattolicissima Italia. Riconfermato come attore protagonista, Will Smith sembra idealmente restituire, o meglio, ridistribuire un po' della happiness inseguita con tanto accanimento e dopo tante (rin)corse nel precedente film mucciniano. Dopo la redenzione economica del broker Chris Gardner, che intendeva la felicità come ricchezza, il Ben Thomas (sempre di Smith) ricerca una redenzione spirituale che metta a tacere il dolore provocato e il rimorso patito. La supposta distanza, che un regista non americano avrebbe dovuto e potuto garantire rispetto ai meccanismi e alle modalità narrative hollywoodiane, non è in questa seconda esperienza evidente come fu per La ricerca della felicità.
Sette anime è decisamente un film americano che si regge sull'interpretazione degli attori e poco o niente dice dell' "anima" italica che lo ha diretto. Qualche perplessità la solleva pure l'interpretazione non risolta di Will Smith, che rinchiude un dolore cupo e profondo dentro un corpo da supereroe mai tragico, mai corrotto o compromesso dai conflitti inconciliabili del suo protagonista. Se tutto può l'amore, fornendo in qualche modo la chiave morale del film, poco o nulla può contro il ridicolo distribuito a piene mani sull'epilogo, attraversato da affannose corse, frequentato da meduse letali, martellato da un cuore donato e osservato da occhi neri che tornano a guardare. Il tono e il sapore del dramma incombente e inevitabile viene allora travolto da invenzioni maldestre, che precipitano quel poco di intimo che il film era riuscito a costruire, mancando l'abbraccio fatale con il destino inevitabile, bruciando il calore di ciò che è insondabile.


Film di un triste che più triste non si può.

Valutazione ***/5

mercoledì 31 dicembre 2008

Buona fine e buon inizio 2009!



Sperando che il 2009 non sia come il 2008, cioè bisesto e funesto!!!!


AUGURI!!

lunedì 29 dicembre 2008

[Recensione] The Spirit



A Central City si muove The Spirit, un eroe diverso dal solito. Non ha particolari superpoteri ma nulla sembra poterlo uccidere, ha un fascino magnetico che attira le donne, una nemesi (Octopus) dotata approssimativamente delle stesse caratteristiche e un'identità reale che si è lasciato alle spalle tempo fa.
Non ha passioni Spirit, non sembra animato da nessun particolare sentimento, da nessuna etica se non un ottuso senso di rispetto per l'ordine, da nessuna passione se non quella per la sua città che considera al pari di una donna: l'unica che gli fa venire gli occhi lucidi, l'unica che non tradirà mai, l'unica che rispetta. Tutte le altre sono solo avventure semiserie: medici, poliziotte, danzatrici, criminali e amori d'infanzia che tornano come dark lady dell'età adulta.
Dunque non per senso di giustizia ma per senso del dovere l'eroe freddo ma implacabile si troverà a dover impedire ad Octopus di bere il sangue di Eracle (capace di uccidere gli uomini e di donare l'immortalità ad esseri come lui e Spirit) e a impedire alla donna che gli infranse il cuore di compiere il furto di gioielli del secolo.
Frank Miller, dopo l'esperimento di coregia di Sin City, questa volta si avventura in un progetto solitario per il quale decide di portare su grande schermo un'opera non sua, un classico del mondo del fumetto come The Spirit del venerato Will Eisner. E se lo stile visivo prosegue sul percorso inaugurato assieme a Robert Rodriguez, quello del racconto batte strade diverse.
The Spirit è un racconto in forma molto ironica che alterna sequenze serie ad altre semiserie, che si diletta nel citazionismo più esasperato (addirittura uno stacco di montaggio preso dalle tavole del suo Big Fat Kill) e che si prende la briga di mostrare in un mondo pseudo moderno (dal design anni '30 ma con le tecnologie di oggi) un eroe vecchio stampo, apparentemente tutto purezza e giustizia, opposto a un nemico altrettanto manicheo, tutto piani diabolici e cattiveria un tanto al chilo. Ma sotto la prima patina di semplicismo ce n'è una più complessa, dietro i dialoghi e le situazioni spesso al limite del grottesco c'è una profonda conoscenza dei meccanismi del racconto e la voglia di sperimentare un cinema che utilizzi e adatti massicciamente le soluzioni fumettistiche.
In The Spirit non si tratta più di riportare lo stile milleriano su pellicola, non si tratta più di comporre le inquadrature come tavole di fumetti, né di raccontare una storia con quel medesimo piglio. Si tratta di prendere il montaggio, cioè il linguaggio fondamentale del cinema, e contaminarlo con la scansione dei frame fumettistici, si tratta di pensare di orchestrare un film nella stessa maniera in cui si pensa di orchestrare un comic-book.
Il risultato non è sempre convincente ma indubitabilmente audace. Raramente negli ultimi anni si è visto un film interessarsi così smaccatamente della sola dimensione estetica come del resto raramente si è visto un film proporre un eroe totalmente positivo ma dalla moralità ottusa e così maschilista da intrattenere rapporti mendaci e promiscui con donne di tutti i tipi ponendosi al limite della misoginia.


Presenta dei buchi narrativi non indifferenti ma fortunatamente risente dell'influenza di Tarantino e Rodriguez. Piccolo Cult.
Voto ***1/2

sabato 27 dicembre 2008

E' stato un natale difficile...



...per Topolino. Tutti i bimbini hanno voluto dal Babbo Natale solo giochi di Drangon Ball oppure ultra tecnologici. E Lui? Il povero Topolino ha dovuto prendere una decisione drastica...

Ciao Topolino amico della mia infanzia ;(

giovedì 25 dicembre 2008

Buone Feste!



Buone Natale! :)

lunedì 8 dicembre 2008

C'era una volta un blog...

In effetti era così..ma non temete ritorneranno i fasti periodi di un tempo in cui tutti avremo più tempo libero.

Stay tuned!